- Vercelli, Comando Carabinieri 28 gennaio 1989
Ero arrivato presto in caserma, ieri sera. Dovevo mettere a posto alcuni verbali, prima di partire per un appostamento antidroga. Mio padre è carabiniere pure lui, ma non svolgiamo servizio insieme. Mi ha insegnato tanto, però io lavoro con la mia, di testa. Poi siamo usciti, in borghese, con un’auto civetta, perché questi mercanti di morte li voglio beccare. Ma quanti ragazzini hanno ancora voglia di ammazzare? E loro, non lo sanno che questa porcheria gli brucia il cervello, che non potranno più fare la vita di prima? Che manco con le donne riusciranno più ad andare… Non c’è verso di farglielo capire: noi siamo e resteremo i cattivi. E poi, c’è questa nuova malattia, l’Aidiesse, o come si chiama. Li fa secchi come insetti rimasti incollati alla carta moschicida. Si contagiano uno con l’altro e noi, poveri fessi, a corrergli appresso, a contagiarci pure noi. Certo, se l’avessi saputo prima che erano le mie ultime ore di vita… me le sarei godute alla grande. Magari, avrei preso un giorno di congedo e sarai andato a divertirmi. Invece no! Quando con il maresciallo Scino abbiamo finito il servizio, ci siamo avviati verso la caserma. E’ stato sulla strada che porta a Varallo, che le abbiamo viste, quelle due auto. Sapevamo che c’era stata una rapina a un furgone postale, lì vicino. Meglio controllare. Siamo stanchi, per l’appostamento, ma i sensi sono all’erta. Quel Peugeot, seguito da un fuoristrada Toyota, che viaggia costeggiando le risaie, non mi convince. Le blocchiamo entrambe. Il maresciallo si avvicina all’utilitaria e io all’altro mezzo. Chi guida lo conosco, è Maurizio Incaudo, un collega. Strano che si trovi qui. Sorride, nervoso, con quell’aria strafottente, che non mi è mai piaciuta. “Bè…?!”. “Come mai da queste parti? C’è appena stata un rapina… “. “Ma no…?? E allora?”. E’ in quel momento che sento Scino alzare la voce. Mi volto in tempo per vedere uno degli occupanti del Peugeot spostarlo di peso. Poi, lo sparo. Allora mi volto e…
L’anno 1989, addì 29 del mese di gennaio, in Varallo Sesia, negli Uffici del Comando Compagnia Carabinieri, ad ore 01,30. Avanti i sottoscritti Capitano Michele Di Santo, Brigadiere Camu Vincenzo, Brigadiere Santimone Nicola e Maresciallo Mele Francesco, tutti appartenenti al Comando Compagnia Carabinieri di Varallo Sesia, è presente Chieppa Alessandro, il quale dopo essere stato rintracciato e bloccato verso le 23,30 del 28 gennaio 1989 in località Curavecchia di Roasio, spontaneamente dichiara quanto segue in ordine al reato di rapina aggravata, omicidio, porto illegale di armi, furto di auto e altro, perpetrato il mattino sulla strada provinciale 594 tratto Greggio-Arborio.
“Ieri sera siamo partiti da Torino verso le 19 su una Golf bianca già rubata alcuni giorni fa da Geraldo Mocciola, un ex poliziotto che conosco da tempo. Siamo arrivati alle 20 in Greggio, ove ci aspettava Maurizio Incaudo con la sua Toyota; abbiamo raggiunto il Canale Cavour, a Greggio, e abbiamo nascosto la Golf rubata. Successivamente siamo andati a perlustrare il percorso che il giorno dopo avremmo dovuto fare per intercettare il furgone postale. Le “dritte” ce le aveva date Incaudo, che circa setto o otto anni fa, essendo effettivo alla Stazione Carabinieri di Vercelli, ogni tanto, era comandato di scorta ai furgoni postali. Inoltre era riuscito probabilmente a farsi dare dalla direttrice dell’Ufficio postale di Roccapietra l’itinerario, l’ora e i giorni di maggior afflusso di denaro. Alle 21, 45 di ieri, ci siamo recati tutti e tre dalla Bruna di Roasio, dove abbiamo cenato e poi a “Il Faro”, di Brusnengo. Quindi, siamo tornati a dormire a Varallo Sesia nell’abitazione in comune tra me, Incaudo e un nostro amico. Non avevamo un contratto d’affitto vero e proprio perché il Comando non lo scoprisse, in modo da incontrarci quando volevamo. Il fucile automatico usato per la rapina, un Franchi calibro 12, automatico, a pompa, era di proprietà del mio amico che lo aveva comprato in un’armeria di Novara, ma era stato pagato dall’Incaudo, che ogni tanto se lo faceva prestare per andare a fare il tiro al piattello. Le cartucce da caccia, le procurava lo stesso Incaudo in un’armeria di Novara.
Fino alle 4 del 28 gennaio abbiamo dormito tutti e tre. Alle 5,45 siamo giunti, partendo da Varallo Sesia, al Canale Cavour, dove avevamo lasciato la Golf la sera precedente, lasciando al suo posto la mia Peugeot e la Toyota di Incaudo. Siamo saliti sulla Golf e siamo andati ad appostarci dopo un ponte, nei pressi del comune di Oldenico. Alle 6,40 c’era un po’ di nebbia, abbiamo atteso il passaggio del furgone postale e della Uno militare di scorta, con due carabinieri a bordo, li abbiamo tallonati a distanza fino ad Albano, dopo di che, in un momento in cui c’era poco traffico, abbiamo raggiunto l’auto dei militari che, forse insospettita dalla nostra presenza aveva rallentato mandando avanti il furgone postale, per poi riaccellerare. A quel punto, noi, che eravamo già mascherati, li affiancavamo e sparavamo alle ruote anteriori e posteriori, facendo sbandare la Uno e finire in una cunetta. Incominciava così l’inseguimento del furgone, che raggiungevamo prima di Arborio ancora in aperta campagna. Riuscivamo a bloccarli, sparando un colpo di fucile in aria e minacciando gli occupanti con le armi. Dopo averli fatti scendere, li abbiamo legati con dei lacci di plastica, mettendogli del nastro adesivo agli occhi, e li abbiamo fatti sedere sul sedile posteriore della Golf.
Il Mocciola ha preso la guida del furgone postale e tutti incolonnati siamo andati al Canale Cavour per lasciare e scaricare il mezzo. Abbiamo abbandonato la Golf con i due dipendenti delle poste legati, ma non imbavagliati, per paura che soffocassero. Dell’intero contenuto del furgone, abbiamo preso solo un sacco che però conteneva diversi sacchetti di iuta, con dentro banconote di diverso taglio e numerosi assegni circolari. Il resto lo abbiamo abbandonato, anche perché avevamo visto passare una Uno Fiat chiara, probabilmente dei carabinieri di Vercelli, oltre che alcuni pescatori. Abbiamo preso per Varallo, perché volevamo ritornare alla casa in affitto. Per una stradina fiancheggiata dalla risaia, io conducevo la mia Peugeot con sopra il Mucciola armato. Anch’io avevo la pistola. Incaudo ci veniva dietro con il suo fuoristrada. Proseguendo, incontravamo la Regata del Reparto Operativo di Vercelli, con a bordo il maresciallo Scino e l’appuntato Vinci, che ci intimavano di fermarci. Io trenta metri dopo e Incaudo vicino. Mentre il maresciallo Scino ci domandava cosa facevamo lì e a quell’ora e l’appuntato Vinci parlava con Incaudo, il primo si accorgeva che avevo le mani sporche di sangue. Mi ero ferito con la taglierina, mentre cercavo di aprire il sacco di iuta delle poste. Alla sua domanda, fornisco una risposta vaga, tanto che il sottufficiale mi chiede di aprire il cofano dell’auto. In risposta, lo alzo di peso, spingendolo via. L’altro, che è armato e con il colpo in canna, spara e colpisce il posteriore della mia auto. Io mi nascondo dietro e il maresciallo indietreggia velocemente, continuando a sparare. A quel punto anche Incaudo e l’appuntato Vinci ingaggiano un conflitto a fuoco. Incaudo spara con la pistola d’ordinanza, da dentro la Toyota. Il maresciallo Scino si era portato ormai a distanza, sparando contro di noi, mentre l’appuntato Vinci, ferito, continuava a sparare da terra. A quel punto Incaudo scende dal mezzo e imbracciando il fucile a pompa spara due o tre colpi a bruciapelo, uccidendolo. Siamo quindi scappati dal luogo della sparatoria, rifugiandoci a due o tre chilometri, dentro a un capannone, nei pressi della Baraggia di Rovasenda. Abbiamo forzato la serratura con il verricello della Toyota e siamo entrati, andando a nasconderci nell’ultima stanza, chiudendoci il portone dietro, senza la catena. I soldi rapinati, contandoli, dovevano essere circa 200 milioni. Li abbiamo messi in una borsa di pelle marrone, dell’Incaudo. Siamo rimasti nel capannone quattro ore, cercando di riposarci. Poi siamo saliti al primo piano, dopo che avevamo sentito arrivare alcune auto e Incaudo aveva manifestato l’intenzione di volersi suicidare, perché pentito di quello che aveva fatto all’appuntato Vinci. Con questa determinazione, credo, si rifugiava nella scala buia del piano superiore, mentre noi, nel frattempo, dopo averlo invitato a seguirci, ci buttavamo dal primo piano, facendo un volo di quattro o cinque metri, aiutandoci con i rami degli alberi vicini alla costruzione, e facendoci comunque male. Ci nascondevamo quindi nei pressi del capannone, in mezzo ai rovi, sentendo un certo Piredda che chiamava ad alta voce: “Incaudo Maurizio… vieni fuori!”. Sentiamo alcuni colpi di pistola e capiamo che è successo qualcosa. Quando l’abbiamo lasciato, era ferito di striscio a una mano e a un piede. Erano circa le 13 e c’erano degli elicotteri che giravano sopra di noi, numerosi carabinieri ci passavano vicini, ma eravamo ben nascosti e non riuscivano a scorgerci. Pian piano siamo scappati nella Baraggia e verso le 18, con il buio, ci siano avviati lungo una strada, arrivando fino alla discoteca “Il Faro”. Dovevano essere circa le 21, 30 quando abbiamo chiesto un passaggio a un’auto, con a bordo una coppia, facendoci portare al telefono pubblico più vicino, al Bar Sport di Curavecchia. Qui, dopo aver bevuto qualcosa, abbiamo fatto un paio di chiamate, mentre gli avventori ci guardavano in maniera strana. Così siamo andati via. Con il Mocciola cercavano di guadagnare la via dei boschi, ma nel frattempo arrivavano alcuni mezzi dei carabinieri di Varallo, Coggiola e Crevacuore, che ci hanno inseguiti e raggiunti. Dopo una breve colluttazione, consci che non c’era più nulla da fare, ci siamo arresi.
- Strada per Varallo 28 gennaio 1989
Mi volto e Incaudo mi punta contro una pistola. Faccio in tempo a scansarmi, il proiettile che mi passa a mezzo centimetro dalla testa. Il secondo mi prende a un fianco e mi fa finire a terra. La ferita brucia, ma io quasi non me ne accorgo. Arretro, spingendomi, veloce, con le gambe, fino a rifugiarmi in un fosso, a lato della strada. Continuo a sparare, e i miei colpi centrano la carrozzeria del fuoristrada. Anche Scino, spara e gli altri due rispondono al fuoco. Sono loro i rapinatori, li abbiamo beccati. Un ex poliziotto e un carabiniere in servizio, che schifo! D’altra parte, per intercettare il furgone ci voleva qualcuno bravo, che conoscesse i percorsi e le dinamiche. Si sussurrava, anni fa, che Maurizio avesse una storia con una dipendente dell’Ufficio postale. Forse è lei che gli ha passato le informazioni giuste. Sarebbe andato tutto liscio, se non li avessimo incrociati. Certo, non avrei mai pensato di puntare l’arma d’ordinanza contro un collega. La ferita sanguina, mi sento sempre più debole. Incaudo ne approfitta. Vedo che si china, nell’abitacolo, per prendere qualcosa. Sto finendo i colpi. Scende, tra le braccia tiene un fucile a pompa. Scino è distante, gli altri gli sparano contro, mentre cercano di raggiungere una piccola radura. Non riesco quasi più a respirare, mentre Maurizio si avvicina, piano. Ormai lo so, mi restano pochi istanti di vita. Mi guarda negli occhi, arma il fucile e spara. Il contraccolpo mi schiaccia contro il terreno, freddo come una tomba. Sbatto gli occhi e lo vedo, che ricarica l’arma e spara, ancora una volta. E’ la fine, ma non sento dolore. Mi sembra di essere diventato uno spettatore, lo spettatore della mia morte. Vedo Maurizio allontanarsi, veloce, salire sul fuoristrada e partire, sgommando. Vinci si è sganciato, gli altri banditi sono fuggiti e corre verso di me, chiamandomi per nome. Mi chiama, mi scuote, le sue mani, quando le ritrae, sono lorde del mio sangue. In lontananza , le sirene, mentre lui, in ginocchio accanto a me, guarda il cielo e urla, con tutto il dolore del mondo.