- 17 gennaio 2021, 08:00

Valsesia magica e misteriosa: La ‘terra di mezzo’ del lago di Sant’Agostino

A cura di Roberto Gremmo

Valsesia magica e misteriosa: La ‘terra di mezzo’ del lago di Sant’Agostino

   Il luogo di confine fra la nostra civiltà massificante ed il regno del fantastico é nel Lago di Sant’Agostino (meglio: “‘d Sant’Ustin”), nella Valsesia più segreta e misteriosa. Questa terra di mezzo poco conosciuta si trova, appartata e per fortuna ancora incontaminata, sopra Roccapietra e la si raggiunge salendo una ripida ma comoda mulattiera pavimentata che, in una decina di minuti percorsi a buon passo trasporta in una foresta affascinante dove le presenze arcane e fuor del comune la fanno da padrone e dove la piccola cappelletta dedicata a Sant’Agostino, costruita per cristianizzare un luogo dove la religiosità si nutre della sacralità della natura. Un piccolo edificio oggi modernizzato.

  In effetti, la cappella e lo specchio d’acqua dedicati ad un santo che pare non aver mai avuto reali contatti con la Valle sembrano presenze e dedicazioni intrusive e arbitrarie, perché la terra del lago é piena zeppa di presenze che rimandano direttamente ad un mondo dimenticato di credenze pagane.

    A separare, anche fisicamente, il territorio degli uomini da quello della fantasia, subito dopo la cappelletta e una moderna (e ben tenuta) area per merende, si erge in mezzo al bosco un piccolo muraglione in pietra, di nessuna utilità se non quella di separare la dimensione del reale da quella del mistero.

   Da lì comincia una terra segreta dove un grande masso erratico che sembra gemello della “Pera pichera” di Prelle sembra ideale per arcaici culti litici, quelli certamente praticati poco oltre in un altra pietra magica conosciuta come “Sass dla baceia” per la sua forma simile a quella del tradizionale recipiente in legno che serviva in passato a raccogliere le granaglie. 

    Secondo la compianta amica Rosella Osta Sella che ne ha scritto ampiamente nel prezioso libro sulla “Valsesia Segreta” (coautrice Anna Lamberti Donati) questo masso dalla forma singolare, sarebbe stato “un masso-altare protostorico” e le coppelle scavate sulla sua sommità ha diverse coppelle che secondo questa scrittrice sarebbero state scavate “dai seguaci dei sacerdoti Druidici per raccogliere il sangue animale durante i loro cruenti ed ancestrali riti magici. La coppella più grande e sorprendente è di forma triangolare, e se i più smaliziati vi scorgono la forma stilizzata della testa di un caprone, altri vi vedono il cosidetto “delta di Venere”, figura apotropaica legata alle rassicuranti divinità di sesso femminile collegate ai riti di fertilità in onore della Grande Madre Natura”.  

   E poi c’é il lago, quello “dij babbij” che già nel racconto del 1929 di don Luigi Ravelli veniva descritto come un elemento naturale fuor del comune perché “in tempo di magra si divide in due laghetti di cui l’inferiore è spesso  asciutto. Giace, senza affuente nè un emissario visibile, in un desolato bacino solitario come un deserto e muto come una catacomba”. Uno specchio acquatico unico nel suo genere.

     La presenza singolare di una miriade di rospi che depongono le uova in primavera, la fonte misteriosa (etichettata sbrigativamente come “ava còrna”, acqua diabolica) che sgorga nella valle buia (“Bonda Tuppa”) sotto il “Sass di Strij”, le pietre dei culti litici e addirittura un castello fatato attribuito a esseri arcani chiamati “Arian” sono tutti elementi che accendono la fantasia.

    Ma, come se non bastasse, secondo la tradizione popolare più autentica, la fonte che secondo me era più di fate che di streghe, era protetta e difesa anche da spiriti folletti. Il piccolo popolo delle selve, delle sorgenti e dei massi della vita.

  Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo scrivendo storiaribelle@gmail.com

  Per approfondire questi argomenti segnaliamo il libro “I segreti dei paesi biellesi” dell’Editore “Ieri e Oggi” (via Italia 22 Biella tel. 015351006 - ierieoggi@tiscalinet.it).

Roberto Gremmo

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