Ricorrendo gli ottocento anni di fondazione dell’Ospedale di Sant’Andrea, il Dipartimento di Studi Umanistici dell’UPO, nelle giornate del 9 e 10 maggio, ha organizzato: “Percorsi alla scoperta di un’antica abbazia e del suo ospedale”, un progetto multidisciplinare che coniuga l’alta ricerca con la divulgazione a livello territoriale: due giornate di conferenze seguite da visite degli spazi del complesso abbaziale e ospedaliero di Sant’Andrea, aprendo alla cittadinanza i locali dell’Università: Palazzo Tartara e l’Ex Ospedaletto. I convegni sono stati curati da Eleonora Destefanis e Raffaella Afferni, con il sostegno del Direttore del DISIM, Professor Michele Mastroianni. Il Comune di Varallo ha partecipato ufficialmente alla prima giornata di lavori attraverso la presenza del Direttore della Biblioteca Civica “Farinone-Centa”.
Patrizia Zambrano, docente di Storia dell’Arte Moderna, presso l’UPO, ha presentato: “I più sacri principii del dovere e della gratitudine”. L’Hospitale di Varallo e i ritratti dei primi benefattori. La frase iniziale del titolo della relazione è tratta dall’opera di Gerolamo Lana: Origine, traslocazioni, ingrandimenti del Venerando spedale della SS. Trinità in Varallo, stampato a Varallo da Colleoni nel 1851, ancora oggi l’unica storia dell’Ospedale di Varallo, che ebbe un re-print realizzato nel 1999 dalla Libreria Explorer, ma che sarebbe opportuno ristampare. La prima immagine proiettata, assai suggestiva, è stata: “Il muro dei ritratti”, costruito accostando tutti i ritratti finora rintracciati dei benefattori dell’Hospitale, che nel 1995, alla chiusura dell’Ospedale di Varallo, furono affidati in custodia dall’ASL alla Pinacoteca, e oggi non sono visibili al pubblico, perché conservati nei depositi, su apposite griglie: “Quella parete sarebbe un doveroso atto di ringraziamento nei confronti dei benefattori, ma anche la realizzazione del mio sogno dopo il restauro, perché purtroppo molti ritratti sono in uno stato di conservazione molto precario e di alcuni rimane solo traccia nei documenti o in fotografie in bianco e nero, perché non si trovano più”.
Antonia Maria Albertoni, nata Pellanda, nel suo testamento a favore dell’Ospedale di Varallo, nel 1791, pose delle condizioni: che l’Ospedale fosse trasferito nella nuova sede entro due anni e che il suo ritratto e quello del marito fossero anch’essi trasportati là e conservati nella Raccolta de Ritratti. Zambrano ha mostrato come la ricerca e la consultazione delle fonti sia stata basilare per capire da chi fossero stati eseguiti i ritratti e chi fossero i personaggi raffigurati: “Nell’Archivio di Stato di Vercelli, sezione di Varallo, nel 1982 l’ASL 49 depositò il proprio patrimonio archivistico, che fu riordinato dall’allora archivista Maria Grazia Cagna, come emerge dall’articolo pubblicato sul Bollettino Storico Vercellese n. 29 del 1987, e i regesti furono integralmente digitalizzati da Bruna Crivelli. Le ricerche sul Libro dello speso, per gli anni disponibili, hanno rivelato notizie importanti, così come gli inventari, divisi tra legati e eredità universali (per la quasi totalità, fino ad inizio Ottocento, veniva lasciato tutto all’Ospedale). Importante anche il contenuto di un faldone di cartone in cui sono conservate le ricevute di tutte le messe dette per i benefattori”.
Il primo Ospedale fu fondato da don Giuseppe Maio, uno dei tre curati della parrocchia di San Gaudenzio, che nel 1556 donò una delle case dei Maio, nella zona vecchia di Varallo, al di là del ponte sul Mastallone, ad uso ospedale. L’edificio è stato identificato nella tavola IX del Libro dei Misteri, conservato nella Biblioteca Civica “Farinone-Centa” di Varallo. Quella di Varallo fu una delle più antiche istituzioni ospedaliere piemontesi. Com’era uso consueto dei tempi, l’amministrazione fu affidata alla Confraternita della SS. Trinità, legata alla chiesa di San Giacomo. Quel primo Hospitale era costituito da quattro stanze, una sopra l’altra, con due letti per stanza. Per essere accolti in quell’Hospitale bisognava essere indigenti, avere una malattia curabile, essere nativi di Varallo, o domiciliati da almeno dieci anni. Eccezioni erano previste per gli artisti poveri (a Varallo c’era il cantiere del Sacro Monte), per i servi poveri, per “giornalieri e viaggiatori” (i pellegrini che si recavano al Sacro Monte, che venivano accolti dalle famiglie varallesi), e infine per coloro che erano imparentati con i benefattori del luogo. Il ritratto di don Giuseppe Maio, attribuito a Gianoli, purtroppo non si trova più dall’inizio del Novecento, così come altri ritratti che risultano al momento mancanti.
In meno di cinquant’anni il piccolo ospedale fu insufficiente e fu trasferito, aldi là del ponte, nello stabile occupato dalla storica farmacia Anselmetti, come si vede nella famosa incisione del Coriolano.
Nel 1796 l’Ospedale traslocò nuovamente nel palazzo lasciato da don Pio Alberganti, che viveva a Milano, il quale nel suo testamento, rogato in Milano il 12 marzo 1766, lasciò l’intero patrimonio della sua famiglia all’Ospedale della Santissima Trinità di Varallo, nominando l’ente erede universale e chiedendo che l’Ospedale stesso fosse trasferito nella “casa da nobile” in Piazza Gaudenzio Ferrari, antistante il convento di Santa Maria delle Grazie. Don Pio Alberganti non volle un suo ritratto nella Galleria dei Benefattori, ritenendo che suo ritratto fosse il Palazzo stesso.
L’abate Giuseppe Francesco Baruffi (Mondovì 1801 – Torino 1875), appassionato viaggiatore e intellettuale di un certo rilievo nella Torino di metà Ottocento, che soggiornò a Varallo nel 1843, nelle sue Peregrinazioni autunnali, descrisse l’Ospedale come dotato di ventidue letti: “Sufficientemente ben ordinato”. Alla fine dell’Ottocento i posti letto disponibili erano passati a ottanta. L’Ospedale fu soppresso nel 1995: oggi al suo posto c’è la Casa della Salute e il Country Hospital.
Patrizia Zambrano ha fatto notare come attraverso i ritratti dei benefattori emerga una notevole stratificazione sociale: condizioni, mestieri e professioni molto diversi: “In genere tutte le donne che lavoravano per l’Ospedale, lo lasciavano erede dei loro beni, così come i notai, che avevano rogato per l’Ospedale”. Attraverso i suoi studi è riuscita a capire che i ritratti con il cartiglio del nome del benefattore probabilmente erano quelli commissionati dall’Ospedale, mentre gli altri provenivano dal collezionismo.
Lasciare un ritratto di sé in un’istituzione che incarna una serie di valori condivisi era prassi comune, come dimostra la Galleria dei benefattori dell’Ospedale S. Andrea. In occasione dell’VIII centenario della fondazione dell’Ospedale, il Comune di Vercelli ha presentato il restauro del primo lotto di Ritratti dei benefattori, collocati negli spazi della “Galleria del Dugentesco”. Il Comune, in rete con l’Azienda Sanitaria Locale e la Soprintendenza, sta lavorando per raccogliere tutti i ritratti rendendoli nuovamente fruibili al pubblico, come esempi di mecenatismo nei confronti di un’importante istituzione pubblica come l’Ospedale, oggi ASL.
Sara Andreoletti, allieva di Patrizia Zambrano, ha presentato gli importanti risultati emersi dalla sua tesi di Laurea triennale: “Il patrimonio storico-artistico dell’Ospedale della Santissima Trinità di Varallo nei documenti e nella storia sociale della Valsesia”, tracciando brevemente la storia dell’Ospedale nei secoli, e ricostruendo la storia dei ritratti dei benefattori degli ultimi decenni del Settecento ai primi trent’anni dell’Ottocento, attraverso l’analisi dei Libri dello Speso, conservati nella Sezione di Varallo dell’Archivio di Stato di Vercelli. La storia dei ritratti si intreccia con quella del pittore Giovanni Avondo (1763–1829), prima professore e poi Direttore della Scuola di Disegno di Varallo, erede di generazioni di frescanti e decoratori, che fu anche incaricato di dipingere cartigli e cornici dei ritratti dell’Ospedale della Santissima Trinità di Varallo. Nei documenti consultati presso l’Archivio di Stato emergono dati estremamente interessanti e significativi, che verranno prossimamente resi noti, con i nomi degli autori individuati e delle possibili attribuzioni. Prosegue l’indagine per attribuire un nome ai personaggi di alcuni ritratti e la ricerca dei ritratti mancanti.