Copertina - 01 novembre 2025, 00:00

Monica Detaddei, donne e impresa: tra coraggio, stereotipi e futuro condiviso

Monica Detaddei, imprenditrice nel mondo assicurativo, valsesiana di Valduggia da sempre, è la prima agente donna in quasi due secoli di storia del marchio Reale Mutua in Valsesia. Dopo la maturità scientifica si laurea in Economia e Commercio all’Università di Pavia con una tesi intitolata “Il sistema previdenziale verso il quarto pilastro”.

Appassionata di arte, design e lettura (“malata di libri”, come ama definirsi), ama profondamente la sua terra, che chiama sempre “il posto più bello del mondo”.

Oggi guida la sede di Borgosesia e altri 11 uffici nel quadrante provinciale, coordinando un team di 60 persone — numeri inconsueti per un’agenzia assicurativa di provincia. Figura di riferimento e voce autorevole dell’imprenditoria femminile valsesiana, ha condiviso con noi una riflessione autentica sul lavoro, la famiglia e il futuro delle donne nel mondo dell’impresa e il suo motto è "Nessuno di noi è forte come tutti noi".

Monica, oggi si parla molto di imprenditoria femminile. Eppure, le donne che decidono di avviare un’attività sono ancora poche. Perché secondo lei?

Indubbiamente viviamo in una società che non è ancora culturalmente pronta ad accogliere donne che lavorano a tempo pieno, perché il ruolo femminile è da sempre stato associato alla cura della famiglia, della casa, degli anziani e dei bambini.

L’organizzazione sociale attuale, dove è venuto meno lo schema di solidarietà intergenerazionale, sta mettendo in crisi la possibilità per le donne di esprimersi appieno.

Oggi molte neomamme hanno genitori che lavorano ancora, oppure non più disponibili a dedicare tutto il loro tempo ai nipoti. A questo si aggiunge un sistema di asili e scuole inadeguato rispetto agli orari lavorativi, spesso prolungati fino a sera.

Avere un’attività autonoma, come un negozio, senza alcun supporto familiare, diventa quasi impossibile. Io stessa, senza l’aiuto di mia madre, non avrei potuto costruire ciò che ho oggi.

Il lavoro autonomo non conosce maternità: dopo il cesareo, otto giorni ed ero in ufficio, lasciando le mie figlie alle cure di mia madre e di un’amica di famiglia che le ha amate come fossero sue.

Credo che questa sia la ragione principale. Poi c’è anche il tema della sicurezza economica: molte persone, uomini e donne, preferiscono la stabilità di un impiego dipendente alla precarietà dell’impresa.

Ma noto anche che sta venendo meno lo spirito d’iniziativa, quella voglia di costruire che ha sempre caratterizzato la nostra Valsesia, fatta di ingegno e operosità.

Negli ultimi anni, però, sembra che le donne abbiano più voglia di mettersi in gioco. È d’accordo?

Sì, sono d’accordo. Da anni faccio parte del gruppo Donna di API, l’associazione delle piccole e medie imprese, e lì ho conosciuto tante imprenditrici motivate, dinamiche, con grande spirito di solidarietà.

L’alleanza tra donne è qualcosa di incredibile, lo vedo anche nella mia azienda. Il mio è sempre stato considerato un lavoro da uomini, e quando ho iniziato con tre soci maschi, alle riunioni eravamo solo una decina di donne su oltre 300 colleghi.

Mio padre è stato lungimirante: ha dato fiducia alle donne, vedendo nella professione assicurativa una forma di autonomia che poteva conciliare lavoro e famiglia.

Oggi più del 50% dei miei collaboratori sono donne, ma le agenti restano ancora una minoranza. Ciò nonostante, vedo sempre più donne pronte a provarci, a mettersi in gioco, anche in settori tradizionalmente maschili.

Quanto pesano ancora gli stereotipi nella percezione della donna che lavora o che guida un’impresa?

Moltissimo.

Io stessa vengo spesso giudicata per il tempo che dedico al lavoro, come se l’autonomia fosse qualcosa di sconveniente per una donna.

Ma credo che la vera conquista sia proprio l’indipendenza — economica, personale e mentale.

Non sono stata una mamma sempre presente, non ho mai accompagnato le mie figlie a scuola tutti i giorni. Ma la cosa più bella è sentirmi dire che vogliono diventare come me.

Forse hanno capito che, a fronte di qualche sacrificio, si può avere una vita piena, fatta di soddisfazioni e di storie vere da raccontare.

Il mio augurio è che le donne imparino a non sentirsi in colpa per quello che conquistano.

In che modo il territorio può sostenere la crescita dell’imprenditoria femminile?

Serve un’unione di intenti tra imprenditori, associazioni e istituzioni.

Un territorio che sostiene le donne sostiene le famiglie e, di conseguenza, la salute del sistema produttivo.

Sono cresciuta a Valduggia, quando la maglieria Ragno dava lavoro a centinaia di donne: il paese era vivo, prospero, desiderabile. Quando lo stabilimento ha chiuso, si è spopolato.

Oggi credo che serva costruire un nuovo modello di welfare territoriale, condiviso, che permetta alle donne di lavorare e crescere figli senza dover scegliere.

Nella mia azienda abbiamo introdotto una figura che chiamiamo “governante”: si occupa delle piccole incombenze quotidiane (spesa, lavanderia, commissioni) per permettere alle nostre collaboratrici di dedicare tempo di qualità alla famiglia. Ha cambiato la vita di tutti noi.

Un altro tema cruciale è quello del passaggio generazionale. Come lo vive un’imprenditrice?

È la mia ossessione.

Ho vissuto il passaggio generazionale in prima persona, quando mio padre ha deciso di farsi da parte prima del previsto, lasciandomi giovane ma libera di scegliere.

Ha preparato il terreno con intelligenza, strutturando la società in modo da garantirne il futuro anche nel caso io avessi scelto un’altra strada.

Spesso vedo figli costretti in ruoli che non sentono propri, imprigionati da aspettative familiari.

Il vero atto d’amore verso l’impresa è saperle dare continuità anche oltre il sangue, affidandola a chi ha le competenze e la passione giuste.

Ai figli dei “grandi” dico sempre: non cercate di essere copie dei vostri genitori. Siate voi stessi.

In conclusione, qual è il messaggio che vorrebbe lasciare alle donne che sognano di diventare imprenditrici?

Auguro di essere curiose, di stupirsi di sé stesse ogni giorno, senza sensi di colpa.

Di non temere i propri limiti, perché il mondo è pieno di risorse e persone pronte a compensarli.

Serve riscoprire lo spirito di comunità, condividere di più, competere di meno.

E mi auguro che un giorno non ci sia più bisogno di intervistare una donna imprenditrice come se fosse un’eccezione.

Quando non ci sarà più differenza di genere nei ruoli sociali e professionali, allora sì, avremo fatto davvero un passo avanti.

«Riconoscere che la donna "è in grado" non è solo un atto di giustizia, ma un investimento sul futuro.»

redazione

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