Non è più una serie di episodi isolati, circoscritti a qualche chat scolastica o a un profilo social finito nel mirino. La violenza digitale è diventata un fenomeno strutturale, capace di entrare nelle relazioni quotidiane dei ragazzi e di lasciare conseguenze reali, spesso pesantissime. I dati restituiscono un quadro che non si può archiviare come “ragazzate”: secondo le rilevazioni diffuse da Unicusano, un adolescente su tre risulta vittima di cyberbullismo.
La crescita è stata costante negli ultimi anni e, soprattutto, ha mostrato un’accelerazione nelle segnalazioni e nelle richieste di aiuto nel corso del 2024, con un aumento indicato del 40% verso le linee di supporto citate nel materiale di partenza. Nel frattempo, il perimetro del problema si è allargato: non riguarda solo l’offesa occasionale, ma comprende esclusioni sistematiche dai gruppi, campagne di umiliazione, minacce, diffusione di contenuti senza consenso e forme di odio mirato.
Sul fronte statistico, i numeri Istat evidenziano come l’esperienza di comportamenti offensivi, aggressivi, diffamatori o di esclusione – tra online e offline – sia estremamente diffusa: il 68,5% degli 11-19enni dichiara di averne subìto almeno un episodio e il 21% riferisce che ciò avviene più volte al mese.
Dietro queste percentuali ci sono dinamiche riconoscibili: insulti ripetuti, derisione pubblica, isolamento digitale, messaggi intimidatori. È la versione contemporanea del bullismo, amplificata dalla rete: più veloce, più persistente, più difficile da fermare.
Accanto al cyberbullismo, cresce anche l’hate speech, cioè l’odio che colpisce per genere, etnia o orientamento sessuale e che, come riportato nel testo di partenza, interessa una quota rilevante di giovani. In parallelo, si consolidano fenomeni ancora più inquietanti legati all’intimità: la diffusione non consensuale di immagini private (revenge porn) e l’uso di contenuti manipolati, come i deepfake. Nel materiale fornito viene indicato che nel 2024 le denunce per revenge porn hanno superato quota 2.000, con un incremento del 30% in un anno, mentre i deepfake risultano in crescita del 25%, colpendo soprattutto le donne.
Il prezzo, però, non lo paga “internet”: lo pagano le persone. Le conseguenze descritte in partenza sono tutt’altro che astratte: ansia e depressione per una quota ampia di vittime, rischio di abbandono scolastico e perfino comportamenti autolesionistici. È il punto che più smonta ogni minimizzazione: quando l’aggressione diventa quotidiana e si sposta continuamente da un canale all’altro, la vittima non “stacca”, non ha tregua, non trova uno spazio davvero sicuro.
Un segnale ulteriore della gravità del fenomeno è arrivato nell’estate 2025, quando la violenza digitale ha mostrato il suo volto collettivo e organizzato. Il caso del gruppo Facebook “Mia moglie”, rimosso da Meta ad agosto 2025, ha portato alla luce una comunità di oltre 30.000 iscritti che condividevano immagini intime di donne senza consenso, spesso accompagnate da commenti sessisti e degradanti. Contenuti illegittimi appesantiti da una dinamica di gruppo che normalizza l’abuso e lo trasforma in intrattenimento.
Di fronte a una piaga che coinvolge giovanissimi e adulti, scuole e famiglie, piattaforme e istituzioni, non basta più la reazione “a danno avvenuto”. Serve prevenzione, educazione digitale e intervento tempestivo, perché la rete non è un mondo parallelo, ma parte integrante della vita sociale, soprattutto per gli adolescenti. Se l’odio trova spazio online, poi lascia ferite che – fuori dallo schermo – restano a lungo.