“Avevamo ricevuto alcune lettere anonime che segnalavano come uno dei guardia parco non si attenesse agli orari di lavoro, oppure, dopo aver preso servizio, facesse altro. Le segnalazioni riguardavano, in particolare, la sede di Alagna e noi avevamo tentato di effettuare qualche controllo, ma senza successo. Tra l'altro, in quel periodo, ad Alagna non c'era la timbratrice quindi le schede di timbratura venivano compilate a mano dai dipendenti stessi e poi consegnate alla fine del mese”. Nicoletta Furno, direttrice del Parco Naturale dell'Alta Valsesia e del Monte Fenera, è tra i primi testi chiamati a deporre al processo che si è aperto nei giorni scorsi nei confronti dei due guardia parco - accusati di truffa ai danni dell'ente pubblico - che avevano scelto di andare a dibattimento.
La donna, che inizialmente venne indagata per l'omesso controllo e la cui posizione venne poi archiviata, ha detto di essere stata a conoscenza dell'apertura di un'indagine relativa al comportamenti dei quattro dipendenti dell'ente, ma di essere stata estranea a tutti gli accertamenti fino al momento dell'arrivo dei carabinieri nella sede dell'ente.
In aula, accanto ai rispettivi difensori, c'erano anche Sandro Bergamo, che per due mandati fu anche sindaco di Alagna, e Mattia Sandrini, l'altro collega imputato nel procedimento. Nei contro esami dei loro legali – sia quello nei confronti della direttrice che quello del supervisore Tosetti – è emerso come la situazione, nell'ente, fosse difficilmente controllabile e alquanto sfaccettata. Ad Alagna, ad esempio, il Parco non aveva più la sede (e nemmeno la timbratrice) dopo aver ricevuto dal Comune lo sfratto, e quindi il personale doveva, in caso di maltempo o di impossibilità a svolgere attività all'aperto, utilizzare uno spazio situato in un alpeggio raggiungibile solo a piedi. Ma anche le altri sedi sparse del territorio erano difficilmente utilizzabili per motivi logistici diversi: a Rima, così come a Fenera Annunziata, località distanti decine di chilometri l'una dall'altra: gli unici uffici veri e propri, di fatto, erano nella sede di Varallo. Le difese hanno anche fatto rilevare come un problema di salute impedisse, a Bergamo, di salire oltre una certa altitudine, e come il collega, che curava anche la parte cartografica e grafica relativa alle pubblicazioni dell'ente, svolgesse parte del lavoro a casa, utilizzando strumentazione informatica privata.
Nella prossima udienza saranno i carabinieri che avevano svolto l'indagine a spiegare quali dei comportamenti degli imputati siano stati ritenuti illeciti e come si siano svolte le varie fasi dell'indagine.