L’inaspettata diffusione del Coronavirus in Italia, oltre alle necessarie considerazioni di natura epidemiologica e politica, induce anche a riflettere sulle reazioni sociali a questo fatto che stiamo osservando. Tra poco sarà evidente come i maggiori danni non saranno creati dal Coronavirus, ma dalla psicosi natavi attorno e adeguatamente fomentata da alcuni. Tuttavia, ciò non basta a spiegare i sempre più ampi e ingiustificabili livelli di psicosi collettiva - mascherate da legittime precauzioni sanitarie – che si stanno diffondendo. Abbiamo modo, valutando le reazioni a questo fatto da parte della società, di capire quali siano i più evidenti e diffusi tratti di psicologia collettiva dell’attualità, tratti che si sono già manifestati nel passato e si manifesteranno nel futuro.
Vero che all’inizio questa patologia è stata presa sottogamba da chi avrebbe dovuto vigilare e preventivare il pericolo. Vero che, tantomeno ora, va gestita alla leggera sperando semplicemente che la situazione si sistemi da sé. Ma qui stiamo parlando d’altro, di portata ancor più vasta.Nel tempo, si è sviluppata una marcata reattività sociale ad ogni più minimo impulso trasmesso all’opinione pubblica, reattività come mai prima favorita dalla facilità e dalla quantità dell’informazione accessibile. La conseguenza è un chiaro contagio da “sindrome da eccessiva informazione”, veicolata dalla televisione accesa in casa che diffonde notizie tutto il giorno – pessima abitudine - da radio, giornali e da internet. Sottoposta a tale bombardamento, persino la mente più lucida non riesce a mantenersi oggettiva ed equilibrata, finendo inevitabilmente (almeno in certa parte) condizionata dall’eccesso di stimoli che riceve. Le ricadute non tardano a emergere: prezzi dei detergenti per mani subito alle stelle sui portali di vendita telematici, supermercati “saccheggiati”, mascherine esaurite. E tutto in pochissimi giorni, senza che nulla di particolare sia successo che giustificasse una tale reazione di massa.
È la reazione collettiva della gente che ha determinato questo, i mercati si adeguano. Già da ora, molto più seriamente, arrivano le disdette delle vacanze dai turisti stranieri e l’annullamento delle commesse commerciali. Certe percezioni dell’Italia dall’estero sono già enormemente falsate, come minimo ci fosse la peste nera del 1348.Questi effetti però stanno a valle, dacché a monte c’è dell’altro, ossia le caratteristiche della reazione sociale a determinati eventi. Si dimostrano contemporaneamente due caratteristiche apparentemente opposte tra loro: la velocissima reattività e la completa passività della società. Se della reattività s’è detto, ora emerge preponderante la passività: gli impulsi provenienti dal sistema dell’informazione vengono colti acriticamente e senza vaglio, con disequilibrio: in brevissimo tempo tutta la società, senza distinzioni, si uniforma alla stessa cosa, viene modellata e si lascia mollemente modellare dall’impulso di turno che riceve. Ma ancor di più, si fa condizionare dalla rielaborazione che di questa stimolazione a sua volta dà, se possibile ancora più esagerata di quanto gli stessi operatori “attivi” dell’informazione già fanno da loro: basti dire che 150 casi (ieri) di contagio portano alla “quarantena del Nord” (Ansa) o ad una “Italia chiusa per Coronavirus” (Corriere della Sera).
Questo tipo di “sintesi informativa” naturalmente agevola questa interpretazioni distorte, ma non si tratta solo di titoli volutamente sensazionalistici. Ovvio che lo siano, che li si cerchi per aumentare il numero di lettori e “cliccatori”, ciò lo possono già immaginare tutti senza difficoltà. In verità, v’è dell’altro.L’opinione pubblica è subito pronta a raccogliere tutto, ma proprio tutto, di quello che le viene buttato in pasto. Certa informazione, senza troppe remore e (forse) senza neanche troppa coscienza di farlo, quasi per abitudine a sé stessa, dà al lettore medio ciò che vuole sentire: senso dell’incredibile, dello straordinario (da intendersi come opposto dell’ordinario), di evasione dalla noia e dalla piattezza ripetitiva del proprio quotidiano, con la sensazione di vedere e partecipare (sempre passivamente, inteso) a qualcosa di nuovo e diverso dal comune. In fondo tutti, coscientemente o meno, si aspettano dall’Informazione non solo una notizia, ma un’Emozione - meglio se forte - un vero e proprio Pathos; questo l’Informazione lo sa molto, troppo, bene. Non altrettanto i suoi fruitori, che mancano spesso di consapevolezza.Funziona un po’ come una droga: proprio perché si è ormai passivamente assuefatti alla ricezione dell’informazione quanto a questa reattivi, appena possibile, si cercherà qualcosa di più forte e diverso dal solito.Quella del Coronavirus è l’occasione del momento, che vive e si muove nella passività reattiva dell’opinione pubblica. Un “grande” evento viene finalmente a scuoterci dal torpore quotidiano cui si è avvezzi; un’inattesa evenienza conduce fuori dalla noia che ci tormenta, rendendoci infine parti di un’avventura comune: infatti di storie comuni ormai ce ne sono sempre meno, ognuno e tutti essendo molto impegnati a vivere la propria personale nell’anonimato e nella noia della Società del Benessere, Noia che di questa società è uno dei tratti più distintivi. Arriva poi l’occasione di distacco da quel “consueto” cui si è placidamente abituati e di cui al contempo s’è pure un po’ schifati. Lo scrittore francese Jean Raspail, autore de “Il campo dei santi” - opera che appunto narra lo svolgimento di una grave ed inattesa crisi sociale - afferma che, in un recesso dello spirito dell’uomo contemporaneo, si è sempre annidata la strana speranza di una qualche distruzione totale, unico rimedio (definitivo) alla noia che lo consuma.
Noia che non è affatto colmata, ma anzi peggiorata dal benessere e dalla “libertà” egoistica. Noia che si cerca di sconfiggere anche (e proprio) grazie alla sovraesposizione all’informazione, muniti di quella spaventevole mistura di assuefazione passiva e reattività compulsiva.Fatte le debite proporzioni, si vede come tale recondito recesso dello spirito contemporaneo, questa anti-speranza di un qualche evento “distruttivo” che interrompa la vita ordinaria, questa bislacca attesa di una qualche “fine di qualcosa” si dimostra - nel modo più incerto, illogico e incredibilmente patetico - con la psicosi da Coronavirus. Essa, dice il saggio, prospera e si trasmette perché è più difficile sviluppare gli anticorpi contro gli agenti patogeni della mente che contro quelli del corpo.