(Adnkronos) - I grandi "grazie" di Nadia Battocletti vanno a mamma e papà. Dalla prima, Jawhara Saddougui, ex mezzofondista marocchina, l’azzurra ha ereditato la gentilezza: "Ha mille pregi e qualità, ma stando a ciò che mi dicono, forse è ciò in cui siamo più simili". Dell’impostazione di papà Giuliano, che è anche il suo allenatore, emerge invece la testardaggine: "In senso positivo, perché non mi do per vinta fino a quando non raggiungo un obiettivo" spiega sorridendo durante una chiacchierata con l’Adnkronos. Nadia è questo. Una campionessa gentile e testarda, capace di emozionare e di stupire. Come fatto nel 2024 alle Olimpiadi di Parigi, strappando a una concorrenza spaziale una medaglia d’argento epica nei 10.000 metri. E come visto ai Mondiali di Tokyo poche settimane fa, aggiungendo alla conferma del risultato nei 10.000 un bronzo scintillante nei 5.000.
Quanto incide il supporto della sua famiglia su risultati così importanti?
"Avere una famiglia sportiva alle spalle è fondamentale, i miei genitori mi hanno spinto a fare sport fin da piccola. Anche solo per provare, magari per impegnare i pomeriggi dopo la scuola. Con gli anni sono aumentate le responsabilità e di conseguenza le tensioni, ma quando trovi dei porti sicuri, come il papà che ti dà una pacca sulla spalla prima di una gara, ricordandoti quanto sei forte, o mamma e il mio fidanzato che mi seguono ovunque in giro per il mondo, andare in pista e dare tutto è il minimo. Per me sono un plus di energia".
Come visto ai Mondiali dopo il bronzo, testardo, nei 5.000.
"L’abbraccio con la mia famiglia dopo quella gara è l’immagine della mia Tokyo, la cartolina che porterò per sempre nel cuore".
Altri abbracci stupiscono. Come quelli con la sua avversaria Beatrice Chebet, la fuoriclasse keniana che negli ultimi anni sta dominando il mezzofondo prolungato a suon di ori e record del mondo. Anche al vostro livello può esistere l’amicizia?
"Penso che il nostro sia un rapporto fatto di tanto rispetto ed educazione, ci siamo comprese. Beatrice ha capito la persona che sono e io ho capito la persona che è. Quando ci ritroviamo per una competizione, ognuna pensa alla propria gara ed è normale. Ma poi c'è altro, anche gli abbracci. Ci sta dire ‘Brava, complimenti’ e poi ridere e scherzare. Lo sport non è solo competizione. L’atletica (e qui Nadia si commuove) mi sta sorprendendo sempre di più, perché permette di vedere aspetti non scontati".
In un’intervista esclusiva all’Adnkronos, Chebet ha detto: "Il momento di Nadia sta arrivando". Che ne pensa?
"Che in parte abbia ragione, perché non credo che tutta la delegazione keniana abbia avuto altre volte il coraggio di andare da atlete di un'altra nazione e dire: ‘Sarai tu a batterci’. In questo sport dominano da sempre, quindi penso che abbiano visto i miei progressi e mi abbiano osservata. Come io faccio con loro. Penso che abbiano notato anche la continua crescita, gli allenamenti, i carichi di volume, capendo che non sono ancora al massimo delle mie capacità. Quindi sì, spero che il mio momento stia arrivando".
La sua è una crescita esponenziale…
"Dagli Europei di Roma nel 2024 vivo una favola, sto raggiungendo risultati impensabili. Quest’anno ho corso i 3000 di Rabat in 8’26" e ho stabilito il nuovo primato italiano in una gara che ho sbagliato del tutto, mentre qualche anno fa non immaginavo nemmeno di riuscire a correrli in 8’30". Certi tempi sembravano irraggiungibili, adesso siamo in tante a riuscirci".
Dipende anche dalla nuova tecnologia delle scarpe?
"È un fattore che può uniformare verso l’alto, certo. Un altro discorso importante è sull’attenzione che oggi l’atleta ha su di sé. Dal nutrizionista allo psicologo, senza trascurare aspetti come il sonno. Non si sottovaluta più niente e ogni dettaglio è un tassello in più per migliorare le performance, come succede in Formula 1".
Lei aggiunge una difficoltà ulteriore, gli studi di ingegneria. Come si trova l’equilibrio?
"Adesso sono più leggera, mi manca solo un esame e il peggio è passato. Fino a poco tempo fa, la situazione era però più complicata. Per far quadrare tutto, andavo a correre la mattina alle sei e alle otto e mezza ero già studentessa all’università. Spesso fino alle sette di sera, perché avevo la frequenza obbligatoria. Se spuntava un altro allenamento da fare, finivo per andare in palestra la sera tardi".
Ritmi non semplici.
"È stata un’esperienza mistica (ride). Ora sono quasi al traguardo e se mi guardo indietro dico che sono contenta di esserci riuscita, non ho mollato. Il sacrificio è stato di tutte le persone che mi stanno accanto. In questi anni non sono mancate le rinunce, dalla semplice uscita del sabato sera alla vacanza. La pianificazione è fondamentale per combattere la paura di restare indietro. All’università, perché poi si accumulano gli esami. E nell’atletica, perché se ti alleni con obiettivi importanti e vuoi migliorare non puoi perdere tempo".
Il Kenya, con i training camp, gli allenamenti in gruppo e ad altitudini notevoli, permette agli atleti di lavorare in un certo modo per crescere. Ha mai pensato di andare lì per mettersi alla prova in un altro contesto?
"Fino a qualche anno fa era forte l’idea di andare lì per fare un’esperienza, per dire ‘Ok, ora vediamo davvero cosa significa fare atletica’. E quindi svegliarsi la mattina presto, correre in gruppi enormi di professionisti e motivarsi a vicenda. Io vengo dalla Val di Non, in Trentino, non ho la fortuna di avere una grande compagnia in allenamento. Inoltre, con queste stagioni sempre più ricche di impegni, i periodi per provare certe cose sono limitati. Soprattutto per chi, come me, fa pista, strada e cross".
Gli Europei di cross saranno proprio l’ultimo appuntamento della sua lunga stagione…
"La fatica si sente, ma tutto sta nel saperla gestire. Quando vengono fuori certi risultati, lo scatto finale è una conseguenza naturale. Gli Europei in Portogallo chiuderanno il mio 2025, spero che siano la ciliegina sulla torta".
La maratona è un’idea per il dopo Los Angeles?
"Penso che sarà la conclusione della mia carriera sportiva. Nei prossimi anni, tutte le energie saranno però sui Giochi Olimpici del 2028. Nessuna distrazione".
Oggi tante bambine si avvicinano all’atletica per merito di Nadia Battocletti. Sente la responsabilità di essere un esempio?
"Sì, ma è un concetto positivo. Fa piacere quando le persone si avvicinano, mi fissano e chiedono se sono davvero io. È una cosa bella, ricevo spesso a casa disegnini e letterine dei bambini che mi raccontano i loro sogni sportivi e mi emoziono. Ricordo quando dall’altra parte c’ero io, mi si riempivano gli occhi solo alla vista dei campioni del mio sport".
In principio, erano sport invernali…
"La mia vita sportiva è iniziata sulla neve. Ho preso la mia prima coppa nello sci, da piccola andavo spesso in una vecchia pista non lontano da casa, lì ho imparato a sciare. Poi ho fatto snowboard e pattinaggio artistico, non mi sono fatta mancare nulla".
In un’altra vita avremmo potuto vederla alle prossime Olimpiadi di Milano Cortina.
"Seguirò le prossime Olimpiadi. Saranno in casa, un evento eccezionale e un’emozione unica. Di Torino 2006 non ho ricordi, avevo solo sei anni. Queste voglio godermele".
Negli ultimi mesi si è impegnata anche come testimonial del World Food Programme, l’agenzia Onu che ogni giorno lotta contro la fame nel mondo. Perché?
"Non tutte le persone, nelle varie parti del mondo, hanno la stessa fortuna. Penso che sia giusto aiutare, si parte da lì. Condivido i valori e gli obiettivi di un progetto così importante". (di Michele Antonelli)





