“Sono trascorsi 57 anni dall'alluvione che colpì duramente le comunità delle valli di Mosso, Strona e Sessera. Ero solo un bambino ma ancora oggi conservo nei miei pensieri i ricordi di quella notte, 2 novembre 1968, dove sono sopravvissuto alla furia dell’acqua”. A parlare il geologo biellese Fabrizio Piana, 68 anni, membro dell'Accademia delle Scienze di Torino, già primo ricercatore presso l'Istituto Geoscienze e Georisorse del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e professore incaricato di Geologia Strutturale all'Università di Torino. Ai nostri taccuini ha ripercorso quelle drammatiche ore di inizio novembre che costarono la vita a più di 50 persone.
“Allora io e la mia famiglia abitavamo in un vecchio edificio industriale di fine '800, con tre piani, in borgata Taverna, nell'allora comune di Mosso Santa Maria, al confine con i territori di Valle Mosso e Pistolesa - racconta - Con me abitavano i miei genitori, insieme a mia sorella, alla nonna paterna e agli zii con la loro figlia. Quel pomeriggio accompagnai mio padre in fabbrica, ai tempi possedeva un’azienda tessile, la Filatura Delfo Piana e Figli, assieme a suo fratello. Era una giornata come tante, mai avrei immaginato che quella notte avrebbe cambiato le sorti della mia famiglia e di un intero territorio”.
Con il passare delle ore la pioggia - che da giorni scendeva ininterrottamente dal cielo – divenne sempre più battente e intensa finché il rio Caramezzana (un affluente del Torrente Strona) cominciò ad esondare e a lambire i magazzini, i giardini e le abitazioni presenti lungo il corso d’acqua. “Compresa la mia – ricorda Piana – Erano da poco trascorse le 19. Preoccupati, papà e mio zio decisero di tornare in fabbrica per mettere in sicurezza le partite di lana appena comprate. A casa restò il resto della famiglia. Come può immaginare, eravamo molto preoccupati: le precipitazioni erano incessanti, l’acqua continuava ad aumentare di livello lungo la strada, i piani inferiori erano allagati tanto che tutti noi ci spostammo all’ultimo piano della nostra casa ad attendere che tutto finisse”.
Almeno, così speravamo tutti. “Eravamo completamente esposti alla potenza dell’acqua – sottolinea – Non solo: si cominciavano a udire tremori e urti piuttosto forti contro la nostra casa, dovuti ai colpi di detriti, sassi e alberi, trascinati dalla corrente. Avevamo bisogno di aiuto. Un giovane del posto, Luciano Greggio, poi insignito della medaglia d’argento al valor civile, venne in nostro soccorso con una corda. Purtroppo, a soli 30 anni, perse la vita poiché coinvolto nel crollo della nostra casa, dalla quale non potè più uscire fino alla fine. Ma in quel preciso istante portò un po’ di tranquillità e serenità in tutti noi”.
Ma era un’illusione, un istante prima della tragedia. ”Si sentii un forte e improvviso boato dopo le 21 – riporta Piana – Si disse che era crollata una delle dighe naturali presenti a monte lungo il corso d'acqua". In pochi minuti, si riversò a valle un ingente massa di macerie che travolse in pieno tutto ciò che si trovava sul suo cammino. Tutto intorno era buio, non si vedeva nulla, si sentiva solo la furia dell’acqua. Poi, all’improvviso, si aprii completamente il pavimento: una sensazione di sprofondamento, indescrivibile a parole, che ancora oggi rammento indistintamente. Pensai, allora, che fosse arrivata la mia ora poiché ero convinto che fosse crollata la casa”.
Nonostante il grosso spavento, Piana non ha mai perso conoscenza sebbene si trovasse tra le macerie e il fango. “Sicuramente una notte interminabile che non dimenticherò mai – ammette – Il nostro edificio venne travolto in pieno dall'aria compressa nella valle a seguito della rottura della diga naturale, l'edificio fu disintegrato e l’aria scaraventò il tetto e ogni membro della mia famiglia in direzioni diverse: noi fummo proiettati all'interno di un'abitazione semicrollata dall'altro lato della strada e fu così che ci salvammo, evitando di essere seppelliti dalla macerie. Non lontano da me si trovavano mia madre, assieme alla mia sorellina di 7 anni e la mia cuginetta di 15. Siamo riusciti a chiamare i soccorsi che, dopo aver attraversato i tetti sfondati delle case, ci recuperarono intorno alla mezzanotte per condurci in un’ala di questi edifici protetti dalla piena dell’acqua. Qui, un medico di quelle zone, il dottor Ortone, ci prestò le prime cure. Per quanto mi riguarda stavo bene: si avevo qualche escoriazione, molte croste di fango sul corpo ma nessuna ferita grave nonostante la drammatica esperienza subita in quelle ore”.
Purtroppo in quella tragica notte si pianse anche per la morte dei propri cari. “La nonna e la zia persero la vita; il papà e lo zio, invece, rimasti bloccati dentro la fabbrica, riuscirono a sopravvivere dopo molte peripezie – spiega Piana – I giorni dopo l’alluvione furono piuttosto complicati: senza casa e lavoro, la mia famiglia fu costretta a ricominciare daccapo e a superare quei momenti così difficili. Ebbe inizio una nuova odissea per tutti noi. Per circa 6 mesi faticai a trovare un sonno sereno; poi imparai a convivere con quei ricordi e ancora oggi, in certe notti, le memorie di quelle ore riaffiorano nella mia mente e nei miei sogni. Tornano a galla senza preavviso e ti ricapita di riviverle. Quando accadono certe cose si comincia a vedere la realtà in maniera differente”.
Oggi, dopo quasi 60 anni dall’alluvione del 1968, diventa fondamentale conservare la memoria e tramandarla alle nuove generazioni. “Specialmente – afferma Piana – per comprendere la realtà, prevenire in futuro situazioni ad alto rischio ed evitare che gli errori si possano ripetere. Mai dimenticare la nostra storia”.





