Finisce in una bolla di sapone l'inchiesta sulla gestione dei migranti arrivati a Vercelli tra il 2014 e il 2016. La sentenza di primo grado, letta nel pomeriggio di giovedì dalla presidente del collegio giudicante Enrica Bertolotto, manda assolti l'ex prefetto Salvatore Malfi, l'allora vice Raffaella Attinaese e Gianluca Mascarino, presidente della cooperativa Obiettivo Onlus. A vario titolo dovevano rispondere di accuse che comprendevano il falso, la turbativa d'asta, la frode nelle pubbliche forniture e la corruzione. Le assoluzioni, lette dal collegio dopo un'ora e mezza di camera di consiglio, sono tutte con formula piena, “perché il fatto non sussiste” o “perché il fatto non costituisce reato”.
Secondo i giudici, non ci furono reati contro la pubblica amministrazione, dunque, né da parte di funzionari pubblici di alto livello né tantomeno da parte del privato impegnato a gestire l'accoglienza e il difficile percorso di integrazione dei richiedenti asilo.
Nel secondo filone del processo, relativo al rapporto di lavoro privatistico tra Malfi e la sua colf, l'ex prefetto viene condannato a 5 anni e 6 mesi: era accusato di estorsione e maltrattamenti, riqualificato in stalking.
Condanne, rispettivamente a un anno e sei mesi e a due mesi, per le funzionarie della Prefettura, Cristina Bottieri e Lucia Castelluccio, chiamate a rispondere di rivelazione di segreti d'ufficio, per le quale l'accusa aveva chiesto pene decisamente più pesanti. Per entrambe i giudici hanno disposto la sospensione della pena e la non menzione nel casellario.
Alla lettura della sentenza, arrivata dopo un processo lunghissimo, partito con oltre 100 testi e proseguito per decine di udienze fiume, sono presenti tutti gli imputati e una delle due parti civili, la ex colf Maria Luce De Ronzo, l'unica nei confronti della quale è stata riconosciuta una provvisionale di 10mila euro: con l'avvocato Francesca Orrù si era costituita nei confronti del suo ex datore di lavoro, con il quale ha in corso anche una causa in sede civile. La sentenza di primo grado ha condannato Malfi a pagare oltre 20mila euro alla sua colf, tra differenze contributive, tfr e risarcimento del danno contributivo.
I primi a lasciare l'aula, come sempre in silenzio, sono i pubblici ministeri Davide Pretti e Rosamaria Iera che, nelle requisitorie, avevano chiesto pene per oltre 22 anni di carcere: dopo la lettura delle motivazioni, attese entro 90 giorni, potranno valutare se proporre appello. In secondo grado andranno sicuramente gli avvocati di Malfi, Roberto Scheda e Oliviero Mazza che, dopo aver visto cadere le ipotesi accusatorie sui versanti relativi a pubblica amministrazione e funzione pubblica, vogliono ora ottenere una riabilitazione anche sul fronte dei rapporti privatistici. «La condanna sul rapporto lavorativo privato tra Malfi e la sua domestica non ha nulla a che fare con la prefettura e la pubblica funzione del nostro cliente: accuse così artificiose, nei confronti di un alto funzionario dello Stato, non dovevano nemmeno arrivare a giudizio» dicono lasciando l'aula. Malfi, dal canto suo, dichiarandosi molto provato per il lungo iter processuale, si dice «soddisfatto per aver visto riabilitata la sua funzione di rappresentante dello Stato. So solo io cosa abbiamo gestito in quegli anni, con le poche risorse umane disponibili – dice - La Prefettura e i suoi collaboratori, non solo il prefetto, escono puliti da questo processo».
Attianese, che doveva rispondere di 9 capi d'imputazione ed era coinvolta in entrambi i filoni del procedimento, lascia l'aula ringraziando il suo avvocato, Roberto Rossi, «per l'impegno e la professionalità in questi tre anni di processo e per la ponderatezza con cui ha gestito ogni momento del giudizio». Anche per lei, che ora è vice prefetto a Torino, si chiude un capitolo difficile e doloroso della carriera.
Visibilmente sollevato e frastornato, Gianluca Mascarino, assistito dall'avvocato Andrea Corsaro, ricorda di «aver sempre creduto nella giustizia: questi anni sono stati duri sul versante professionale e umano. Ho sempre creduto in quello che facevo, oggi tiro un sospiro di sollievo e vedo riconosciuta la mia correttezza. Mi spiace non poter condividere questo momento con mia madre, morta durante durante il processo, e che aveva molto patito per le accuse nei miei confronti. Verso i migranti ho sempre avuto un comportamento che va oltre l'aspetto lavorativo».
Per l'avvocato Massimo Mussato, difensore di Lucia Castelluccio, «È stata emessa una sentenza che implica una pena, comunque sospesa dalla condizionale, di cinque volte inferiore a quella richiesta dal pubblico ministero, ed è stato inoltre derubricato il reato di favoreggiamento nella violazione meno grave di rivelazione di segreti inerenti un procedimento penale. Ovviamente non ci fermeremo a questo risultato e la sentenza, di cui attendiamo le motivazioni, sarà impugnata in appello».
Tra le parti civili è la sola Maria Luce De Ronzo a veder riconosciute le proprie richieste: «Sono stati momenti difficili - commenta -. Per me è stato complicato e doloroso rivivere certi momenti».