(Adnkronos) - "La ricostruzione storica appare accurata fin nei dettagli, i dialoghi sono verosimili e ben scritti". E' una promozione a pieni voti quella che arriva per la serie Netflix sul mostro di Firenze 'Il Mostro', in uscita il prossimo 22 ottobre, dall'avvocato fiorentino Vieri Adriani, legale di parte civile per oltre trent'anni e rappresentante dei familiari della coppia francese assassinata nel settembre del 1985 a Scopeti di San Casciano, Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili.
C'è una notte, nella campagna toscana, che non ha mai smesso di fare paura. Era il 21 agosto 1968. Due corpi in un'auto, un'Alfa Romeo Giulietta bianca ferma accanto a un fosso, il lampeggiatore acceso, in una strada sterrata vicino al cimitero di Signa (Firenze). Un bambino addormentato sul sedile posteriore. Oggi quel bambino è un uomo di 63 anni, vive ai margini, e porta ancora addosso il peso di quella notte. Si chiama Natalino Mele, e fu l'unico testimone del primo duplice omicidio attribuito - molto tempo dopo - al mostro di Firenze.
È proprio da lì che comincia "Il Mostro", la nuova serie Netflix firmata dal regista Stefano Sollima (Romanzo criminale, Gomorra, Suburra), che l'ha prodotta, diretta e creata insieme a Leonardo Fasoli, in uscita il 22 ottobre, presentata in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia. Non un true crime classico, né l'ennesima rivisitazione della vicenda di Pietro Pacciani e dei suoi 'compagni di merende'. La miniserie sceglie una strada diversa: tornare indietro, a quel primo omicidio dimenticato, e osservarlo con gli occhi dell'unico sopravvissuto. Quattro episodi per raccontare come tutto è iniziato, prima ancora che la stampa coniasse il nome "Mostro".
"Ho potuto vedere finora in anteprima solo la prima puntata della serie 'Il Mostro' di Sollima, che trovo particolarmente interessante dopo anni di cosiddetti 'documentari' in realtà poco documentati", dice il Vieri Adriani all'Adnkronos.
La serie ricostruisce in modo crudo e realistico l'Italia rurale degli anni Sessanta, fatta di patriarcato, gelosie, rancori familiari e silenzi imposti. Una società arretrata, dove le donne erano punite per la loro libertà, e i delitti venivano sepolti sotto strati di vergogna. È in quel mondo che si consuma l'omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, amanti appartati in auto dopo il cinema. Il figlio di lei, Natalino, si ritrova da solo a vagare nella notte fino a bussare alla porta di una casa due chilometri più in là.
"Mi svegliarono gli spari. Vidi la mamma morta. Ho detto le preghiere e cantato per non avere paura", racconta oggi Natalino, segnato da un'esistenza di abbandoni, collegi, assistenti sociali e un'identità biologica scoperta solo nell'estate del 2025: non era figlio di Stefano Mele, l'uomo condannato per quel delitto, ma di Giovanni Vinci, uno degli altri amanti della madre, fratello maggiore di Francesco e Salvatore Vinci, entrambi coinvolti e poi scagionati nell'ambito della cosiddetta "pista sarda", un filone dell'indagine sull'autore degli otto duplici omicidi che hanno insanguinato le colline intorno a Firenze.
Sollima non gira intorno ai mostri di carta. Scava nei documenti, nella memoria, nella carne viva di una vicenda che ha sconvolto l'Italia per quasi vent'anni: sedici vittime tra il 1968 e il 1985, mutilazioni, lettere anonime, bossoli che tornano da un delitto all'altro. Un'indagine impossibile, raccontata anche da chi visse quelle inchieste dall'interno, come l'ex magistrata Silvia Della Monica. È lei a intuire per prima che il killer degli anni '80 aveva già ucciso: proprio nel 1968. È lei a ricevere la busta con il lembo di seno della vittima francese, l'ultima del "Mostro".
L'avvocato Vieri Adriani - autore con Francesco Cappelletti e Salvatore Maugeri del libro 'Delitto degli Scopeti. Giustizia mancata' (Ibiskos Ulivieri, 2012) - prosegue: "Da un progetto di questo tipo non ci si può aspettare - né sarebbe auspicabile - una ricostruzione processuale pedissequa, che risulterebbe probabilmente anche piuttosto noiosa. La ricostruzione storica della serie Netflix appare accurata fin nei dettagli; i dialoghi sono verosimili e ben scritti; efficace l'adozione di un punto di vista plurale, che consente più interpretazioni senza costringere lo spettatore a parteggiare per una in particolare. La narrazione si modella sull'aspetto umano e psicologico dei personaggi, evidentemente ispirata agli atti processuali, letti e ponderati con attenzione. Chi è in cerca di 'verità' farebbe bene a rivolgere le proprie domande ai magistrati, che finora l'hanno distribuita col contagocce. Dieci e lode a Sollima per la sceneggiatura, la fotografia, la cura delle ambientazioni e la scelta delle auto d'epoca".
L'impianto narrativo della serie è sorretto da attori sardi e volti sconosciuti, scelti per restituire autenticità e spogliare la storia di ogni sovrastruttura. Perché in questa vicenda non c'è certezza. Solo ombre, errori investigativi, ipotesi sfumate: la pista sarda, i Vinci, i 'compagni di merende', la pistola Beretta calibro 22 mai ritrovata. (di Paolo Martini)