- Romagnano Sesia, 25 marzo 1984
“Allora, dottore?”. “Direi che la morte risale ad almeno 48 ore fa. Uno o più colpi al cranio. Dopo l’autopsia saprò dirle qualcosa di più”. Il maresciallo, sospira. Conosceva di vista la vittima, Santina Uglioni, 85 anni. Viveva da sola e spesso passava davanti alla caserma, le sporte della spesa sempre più pesanti, per la sua età. In casa, è tutto sottosopra. Qualcuno è entrato, ha ucciso l’anziana e poi si è dato da fare. La pensione l’aveva ritirata da poco e quindi l’omicida ha trovato qualche centinaia di migliaia di lire. A terra, un portagioie. Il contenuto rovesciato, mostra pochi oggetti di bigiotteria. Un furto finito male: il ladro ha trovato nell’appartamento l’anziana o forse lei è tornata in anticipo e se l’è trovato davanti. Prima che potesse urlare, chiedere aiuto, l’ha colpita con violenza. Nessuno, nel palazzo, ha sentito nulla e solo per caso il delitto è stato scoperto. Uno degli inquilini, sollecitato da un odore forte, pungente, che si stava diffondendo, ha pensato che l’anziana avesse lasciato una pentola sul fuoco. Dopo aver bussato inutilmente alla porta e atteso qualche minuto il rientro, si era deciso a chiamare i vigili del fuoco. All’apertura del battente, erano stati investiti dai miasmi di un corpo in decomposizione. Pochi istanti e sul posto arrivava la prima pattuglia di carabinieri. Il maresciallo, in attesa dell’arrivo del medico legale, aveva mandato un paio di uomini a fare qualche domanda nel palazzo, senza successo. “Chi ha colpito, è riuscito a farsi aprire la porta – continua a ragionare il militare -. Non ci sono segni di effrazione e non è passato dalla finestra, visto che siamo al primo piano. A meno che l’omicida non abbia seguito la vittima, senza farsi notare e, prima che lei si chiudesse la porta alle spalle, l’abbia spinta e sia entrato. Forse le ha messo una mano davanti alla bocca per non farla urlare, trascinata in cucina e colpita, con un batticarne o un oggetto di uso comune. Voglio controllare, appena i necrofori porteranno via il corpo. Sono certo che manchi qualcosa, non so ancora quale. Andrò per esclusione, cercando cosa non c’è tra gli attrezzi che una buona massaia usa. Poi parlerò con i familiari”.
- Romagnano Sesia, 23 marzo 1984
Santina sta rientrando dalla messa. Alla sua età, è l’unica uscita che si concede. E’ tardi, si è fermata qualche minuto a parlare con altre anziane, le solite con cui recita il rosario prima che inizi la funzione serale. Non si accorge che qualcuno la sta osservando. Si chiama Oscar De Agostini, ha solo 24 anni e già due figli piccoli da mantenere. Già, da mantenere, ma come? Operaio, è rimasto di nuovo disoccupato. Non riesce mai a tenersi un lavoro e adesso si avvicina la fine del mese, e ci sono i conti da pagare. Santina gli passa davanti, a passo lento. Un centinaio di metri e sarà a casa. Prende le chiavi dalla borsetta e le infila nella toppa del portone, poi entra nell’androne e inizia, adagio, a salire le scale. Arrivata davanti alla porta, la apre ed è allora che sente quei passi, veloci, alle sue spalle, quel colpo che la spinge dentro e quella mano sulla bocca, che le impedisce di urlare. La sua vicina potrebbe sentirla, chiamare qualcuno. Gli occhi sbarrati, le manca il fiato, il cuore batte forte nel petto e, poi, quella voce: “I soldi… dimmi dove sono i soldi!”. E intanto la trascina, tenendola da dietro, verso la cucina. Perde una scarpa, cerca di dire qualcosa e fa l’unica cosa che le viene in mente per sottrarsi a quella stretta: cerca di mordere la mano che la imbavaglia. L’assassino diventa una belva. Prende il primo oggetto che trova e colpisce Santina con forza, al capo. Una, due, tre volte, anche quando è già a terra. Poi le sferra un calcio, violento, brutale, per assicurarsi che sia morta, e si sposta in salotto. Inizia ad aprire con furia ante e cassetti, alla ricerca di qualcosa di rubare. Nell’appartamento accanto, qualcuno sta guardando un programma alla televisione, a volume troppo alto. Nessuno lo sentirà aggirarsi per le stanze. Guarda dappertutto e alla fine le trova, quelle 600 mila lire della pensione, ritirati pochi giorni prima. L’aveva tenuta d’occhio, quando era uscita dall’ufficio postale. Voleva strapparle la borsa, ma lei aveva incontrato una coppia di conoscenti, che l’avevano accompagnata fino a casa. Un’occasione persa. Prima di andarsene, prende anche un orologio e un paio di medagliette d’oro, che andrà a impegnare.
- Romagnano Sesia, 30 aprile 1984
“Maresciallo, comandi”. “Dimmi, novità?”. “Ha chiamato l’uomo del banco dei pegni…”. “E allora?”. “Si è presentato da lui una nostra vecchia conoscenza. Voleva impegnare un orologio e due medaglie d’oro, queste ultime di una ditta, la “Burgo Scott” , di quelle che i datori di lavoro regalano ai dipendenti quando vanno in pensione e…”. “E Santina Uglioni e il marito hanno lavorato lì, per decenni”. C’erano anche i “diplomi” distrutti, a casa della vittima, e il maresciallo li aveva notati. Qualcuno, l’omicida, ne aveva strappato qualcosa di prezioso: le medagliette. Non era la prima volta che l’uomo del banco dei pegni dava loro un mano, per rendiconto personale. Di merce ne ricettava, certo, sotto banco, ma qui c’era di mezzo un morto e non voleva grane. Ad andare da lui era stato Oscar De Agostini, un mezzo sbandato, mai un lavoro fisso e con due bimbi da crescere. Le loro indagini si erano rivolte verso il giro dei tossicodipendenti, capaci di uccidere per una dose, senza esito. Adesso, questa pista, concerta, che porta verso un disperato, con a casa due bocche da sfamare. Vanno a prenderlo, nella sua abitazione, a poche decine di metri da quella della vittima. “Glielo giuro, maresciallo. Non sono stato io. Quella sera, ero a casa di mia madre; chiedeteglielo, ve lo confermerà. Avevo litigato con la mia donna e sono andato da lei. Mi sono fermato fino a tardi”. “E con gli oggetti d’oro, come la mettiamo?”. “Me li hanno dati degli sconosciuti. Li ho incontrati per caso, in strada. Abbiamo parlato un po’ e dopo hanno tirato fuori quella roba e me l’hanno messa in mano”. “E tu l’hai presa senza sospettare nulla, senza pensare che potessero anche solo essere provento di un furto! Ma mi prendi per stupido?!”. Urla il maresciallo, mentre Oscar De Agostini si accuccia sulla sedia. Non sa cosa dire, se non che vuole parlare con un avvocato, che lui non ha fatto niente, che in quella casa non c’è mai entrato. Sì, conosceva di vista la signora Uglioni, ma non ha mai pensato di farle del male. Ma nel suo alibi, spunta un “buco” di un’ora.
- Tribunale di Novara, primavera 1986
“Lo so, signori della Corte, che ci troviamo davanti a un processo indiziario”. Tuona in aula, la voce dell’accusa, mentre l’imputato di omicidio, Oscar De Agostini, si fa più vicino al suo difensore. “Eppure – continua il pubblico ministero -, anche se la prova che l’imputato è stato in quell’appartamento non è stata raggiunta, tutto porta a lui. E vorrei ripercorrere insieme a voi, signori giurati, i passi di questa inchiesta, attraverso le testimonianze sentite in aula. Una per tutte, quella del maresciallo dei carabinieri, che indagò sul mondo della tossicodipendenza, perché era da là che poteva venire l’assassino, un personaggio senza scrupoli e senza pietà. Ma da lì non emerse nulla. La svolta arrivò dall’uomo del banco dei pegni, a cui l’imputato si rivolse per vendere gli oggetti sottratti alla vittima. E come ne giustificò il possesso? Due personaggi, indubbiamente frutto della sua fantasia, che glieli consegnano, per strada. Ma lui, ha un alibi. Ci racconta che era a casa con la madre, che conferma la sua versione, per poi finire in carcere per falsa testimonianza. Un’ora di vuoto, nei suoi spostamenti. Un’ora che gli è bastata per seguire Santina Uglioni, una donna molto anziana, indifesa, spingerla dentro casa e ucciderla senza pietà. Avrebbe potuto legarla, chiuderla in bagno… ma non poteva. E sapete, signori della Corte, perché non poteva? Perché lei l’aveva riconosciuto. Aveva riconosciuto nell’aggressore quel ragazzo che abita a un paio di palazzi di distanza dal suo, senza un lavoro fisso, sempre in strada. Lo avrebbe denunciato, avrebbe fatto il suo nome e allora doveva ucciderla. Un delitto e non un furto finito male, è quello che chiedo oggi alla Corte di giudicare. E’ per questo che voglio che Oscar De Martini venga riconosciuto colpevole del reato a lui ascritto, omicidio volontario, e lo condanni al massimo della pena”.
Oscar De Martini, alla fine dell’iter processuale, verrà condannato a 15 anni di reclusione.