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COSTUME E SOCIETÀ | 23 maggio 2023, 18:08

Con la Società Valsesiana di Cultura a Brescia e in Valcamonica

Con la Società Valsesiana di Cultura a Brescia e in Valcamonica

Bergamo e Brescia sono state nominate Capitali della Cultura per l’anno 2023: un binomio di storia, arte e cultura creato per “risarcire” le due città che hanno pagato il prezzo più alto in occasione della pandemia. La fiera di San Faustino a Brescia e la partita di calcio a Bergamo furono affollamenti fatali per la diffusione del contagio. Oggi le due città sono rinate e insieme hanno lavorato per offrire ai visitatori iniziative di grande qualità. A Brescia, nel dicembre 2020, l’installazione del Rinoceronte, sospeso nel Quadriportico di piazza della Vittoria, opera di Stefano Bombardieri, intitolato: “Il peso del tempo sospeso”, destò commozione e sgomento: “La percezione del tempo cambia come muta il nostro stile di vita e il rapporto con gli altri. Il rinoceronte diventa metafora del peso che dobbiamo sopportare”, oggi fa ripensare a quei mesi terribili, in cui fu “sospesa” ogni forma di socialità.

La Società Valsesiana di Cultura ha organizzato un fine settimana a Brescia e in Val Camonica, seguendo le tracce dei cicli pittorici dipinti tra Quattro e Cinquecento nelle chiese vicinali.

A Brescia è stata visitata la mostra: “Miseria & Nobiltà. Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento”, presso il Museo di Santa Giulia, aperta fino al 28 maggio , quando volerà oltre oceano per essere esposta al Getty Center di Los Angeles. Volutamente nel titolo non è stato richiamato il soprannome dell’artista: “Pitocchetto”, riduttivo rispetto alle recenti acquisizioni e alle nuove letture critiche. Ceruti, pittore milanese, riscoperto nel Novecento, torna in Santa Giulia dopo trentasei anni dall’ultima esposizione e si presenta con un percorso evolutivo molto interessante che lo “smarca” dalla “qualifica” di pittore dei pezzenti, mostrandolo come uno dei “pittori più avventurosi del Settecento” come lo definì Mina Gregori, che viaggiò tra Milano, Brescia, Venezia e Padova, cimentandosi in modi sempre nuovi di dipingere, cambiando soggetti, pur mantenendo la sua cifra di ritrattista. All’occhio critico di Roberto Longhi non sfuggì l’originalità di “Lavandaia”, esposto nel 1922 a Palazzo Pitti in una mostra sul Sei-Settecento, che evadeva dalla pittura di genere con quello sguardo che cercava gli occhi dello spettatore, la tavolozza molto scarica, giocata sulle tonalità della terra, il fondale totalmente disadorno. Il Longhi iniziò a costruire un “catalogo” del Ceruti, ma la svolta avvenne nel 1931 quando Giuseppe De Logu, guidato dal Lechi riscoprì il Ciclo di Padernello, esposto nella mostra di Santa Giulia, in una sala che ne valorizza l’unicità. La mostra mette in dialogo il Ceruti con Fra Galgario e altri pittori lombardi, quei “pittori della realtà” in Lombardia che furono oggetto della memorabile mostra del 1953 a Palazzo Reale, ma anche con altri pittori europei come Ribeira. Quella “pittura di polvere e di stracci” come la definì il Longhi, non ha intenti di rivendicazione sociale, proponendo personaggi con i quali si crea subito una spontanea empatia. Nella Brescia del Ceruti nascevano le prime realtà assistenziali ed i benefattori erano i primi committenti del pittore. A Venezia Ceruti cambierà il suo modo di dipingere, la sua tavolozza si scalderà, troverà committenti prestigiosi, come il Comandante delle truppe di terra, diventando “europeo”, adeguandosi alla moda dei ritratti celebrativi, ma inserendo sempre un grano di ironia nel rappresentare la nobiltà. Quando si sposterà a Padova e lavorerà per la Basilica del Santo, ancora una volta muterà pelle, assorbendo il modo di dipingere del luogo.

Brescia, longobarda, romana, medievale e risorgimentale, è stata illustrata al gruppo valsesiano da una guida che ne parlava con grande passione, oltre che con competenza, facendo attraversare i secoli, fino a quel giorno terribile, il 28 maggio 1974, tristemente noto come la strage di Piazza della Loggia, un attentato nel quale morirono otto persone, ma centodue furono ferite in modo più o meno grave, che ancora oggi attende la condanna dei mandanti. Percorrendo la città sono stati scoperti angoli suggestivi come la chiesa di San Faustino in Riposo, sorta sopra una cisterna dell’acqua romana. L’ultima tappa è stata Piazza della Vittoria, in cui l’architettura piacentiniana si è espressa ricostruendo completamente sul distrutto quartiere dei mercati, delle beccherie e delle pescherie, episodio che sfrattò, lasciando sul lastrico, tremila persone, gli “Sfrattà del Mella”, i quali vissero in baraccopoli, fino agli anni Settanta.

A Darfo Boario il gruppo è stato ospitato in un hotel del quale la proprietaria è la nipote di Franca Ghitti, la più grande scultrice della Val Camonica. Nell’ampio spazio dell’accoglienza era possibile ammirare alcune tra le opere più importanti e significative di questo “alfabeto della storia” che offre nuova vita a materiali che avevano ormai perso l’originaria funzione.

L’itinerario in Val Camonica, che per tre secoli fu parte della Terraferma della Repubblica di Venezia, ha privilegiato la visita alle chiese di Comunità, volute e finanziate dalle “Vicinie”, in cui era l’Assemblea del popolo a prendere le decisioni. Chiese dagli esterni spesso un po’ anonimi, all’ingresso svelavano un tripudio di colori: cicli affrescati tra Quattro e Cinquecento, dipinti da Pietro di Cemmo e dal Romanino. Il percorso si è snodato da Esine a Bienno, fino a Breno l’antica capitale, scendendo poi a Pisogne sul lago d’Iseo, dove grazie al Sindaco, Federico Laini, il gruppo valsesiano ha potuto ammirare l’interno della chiesa della Madonna della Neve, con il ciclo dedicato alla Passione di Cristo, definita la “Cappella Sistina dei Poveri” da Testori, interamente affrescato dal Romanino, il pittore più famoso del suo tempo, che, dopo aver dipinto per il principe-vescovo di Trento, fu chiamato in Val Camonica. A Pisogne, a inizio Cinquecento, si assistette alla più grande caccia alle streghe in Italia: processate dal tribunale inquisitoriale e bruciate in piazza.

I colori del lago, cangianti come la storia intessuta di luci e di ombre, hanno congedato il gruppo valsesiano prima del rientro, illuminando i ricordi di due giornate dense ed appassionanti.

Piera Mazzone

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