- Mercoledì 10 marzo 1999 in un ospedale di Torino
"Dottore, venga, presto! Il feto della 7 è entrato in sofferenza!". Sono trenta anni che Teresa fa l'ostetrica e di bambini ne ha fatti nascere a centinaia. Con l'esperienza che ha alle spalle, le basta uno sguardo per capire come andrà il parto. Quella ragazzina, di appena 17 anni, perciò, l'ha monitorata da subito, appena ricoverata nel reparto di maternità. E' troppo giovane per avere un figlio; fisicamente acerba, mostra anche una grande immaturità. Nei mesi precedenti non ha mai dato retta ai medici, continuando a fare una vista sregolata. Adesso, le conseguenze per lei e il nascituro potrebbero essere terribili. "Dobbiamo fare un cesareo d'urgenza. Teresa, allerti il blocco operatorio e faccia preparare una sala. Intanto portiamo subito la paziente di sotto". In cinque minuti la giovanissima partoriente è in sala operatoria, e l'anestesista le sta somministrando i farmaci per sedarla. E' agitata, poco collaborativa. E' terrorizzata dall'intervento, per se stessa, mentre mostra disinteresse per il bimbo che porta in grembo. Il medico è fuori, si sta lavando le mani; sa già che la situazione è critica e che difficilmente, madre e figlio, potranno salvarsi entrambi. Mezz'ora dopo, affronta i genitori della ragazzina: "Vostra figlia sta bene. Ha superato senza problemi il cesareo. Il piccolo, però, ha venuto il liquido amniotico... Lo abbiamo portato in terapia intensiva, ma dubito che possa farcela". Concentrato su quei volti disperati, il medico non si è accorto che un ausiliario sta ascoltando, nascosto dietro a una colonna, le sue parole. Poi, fa una telefonata: "Ingegnere... ci siamo". - Gennaio 1999 Torino Marco guarda il cellulare come fosse una cosa immonda, raccapricciante. La chiamata che ha appena ricevuto, lo ha sconvolto. Da qualche mese abita, con la sua compagna e il bimbo nato da pochi mesi, in un alloggetto di due camere e servizi, alla Barriera di Milano. Quando lei è rimasta incinta, lui frequentava ancora l'università: quinto anno di medicina. Ormai, si sentiva a un passo dalla Laurea. Poi avrebbe dato l'esame di Stato, scelto la specializzazione, sicuramente urologia e, magari, andato in quell'ospedale toscano, dove lavora un luminare del settore. Invece, i suoi sogni erano andati in pezzi. Aveva lasciato l'Ateneo e si era trovato un lavoro, come ausiliario tuttofare in quell'ospedale del centro. I soldi, però, con lei disoccupata, non bastavano mai. Anche dai genitori non poteva aspettarsi nulla. Poi, quella telefonata... "Buongiorno, Marco...". "Ma chi parla?". "Tu non mi conosci, ma io so tutto di te...". La voce, dall'altra parte, mette i brividi. Calda, profonda, melliflua, con qualcosa di malvagio. "Per te sono l'ingegnere ed è così che dovrai chiamarmi". Poi, era arrivata quella richiesta, agghiacciante. "Mi devi procurare l'arto di un neonato. Sono pronto a pagarlo cento milioni". Marco non era stato capace di dire di no. Quei soldi gli servivano, gli avrebbero dato un po' di sollievo, garantito un futuro.
- Gattinara, sabato 13 marzo 1999
"Certo, Laura, che Axel è proprio bello, e che vitalità". "Veramente. Ma vedi, Cristina, mi sono rivolta a un allevamento serio. Ho visto i suoi genitori, sono entrambi campioni italiani". Intanto Axel, un cucciolo di Dobermann di sei mesi, gioca, incurante dei commenti che la sua padrona e una delle due amiche con cui è solita passeggiare, si scambiano. Ha scavato una piccola buca ed è corso dietro a un cespuglio, al confine con una piccola radura. Intorno, sono tutti orti e vivai, tanto che non sembra di essere a due passi dal centro cittadino. "Axel, vieni qui. Ma cos'hai in bocca? Possibile che devi raccogliere tutta l'immondizia che trovi in giro?". Il cucciolo arriva trotterellando e lascia l'oggetto ai piedi della padrona. "Oh, mio Dio. Cristina, Erica, venite qui". Corrono, le due amiche e i loro occhi si riempiono di orrore: il cane ha trovato un resto umano, la gamba di un neonato. Una delle donne prende un fazzoletto dalla borsa e lo posa sopra, poi tutte e tre corrono dai carabinieri. Nemmeno mezz'ora, e la zona è transennata, mentre i militari dell'Arma iniziano a battere la zona, in attesa che arrivino le unità cinofile da Volpiano. "Anche ieri eravamo qui..." raccontano le donne ai carabinieri, "ma non abbiamo notato nulla di strano. Il cane ha corso, come oggi; è andato dappertutto". Difficile, quindi, che l'arto fosse lì anche venerdì. Qualcuno deve averlo lasciato durante la notte, ma chi? E poi, dov'è il resto del corpo? L'area viene setacciata palmo a palmo, ma non vengono trovati altri resti. Non ci sono nemmeno tracce di sangue. Contemporaneamente partono i controlli negli ospedali, tra Piemonte e Lombardia. Nessuna donna, però, si è presentata con una violenta emorragia o altre conseguenze, legate a un parto clandestino. Dai consultori e dagli studi medici privati arriva la conferma che nessuna paziente manca all'appello. Nemmeno dall'accampamento dei nomadi, vengono notizie utili per dare una svolta alle indagini.
- Venerdì 12 marzo 1999 in un ospedale di Torino
Il piccolo non ce l'ha fatta, ma sembra che alla giovanissima madre la cosa non importi. Non sa nemmeno cosa sia quel liquido amniotico che ha bevuto; le interessa solo tornare a casa, e al più presto. Desidera dimenticare questa brutta storia, la gravidanza mai accettata. Avrebbe voluto abortire, ma i genitori glielo hanno impedito. Adesso le interessa tornare alla vita di sempre, alle sue amiche. Per questo non ha mai voluto vedere il bimbo, neanche adesso che è morto. Così il corpicino viene portato in obitorio e messo in una piccola bara bianca che, nel tardo pomeriggio, viene subito sigillata. Marco, ha tenuto la situazione sotto controllo. Con il suo lavoro di ausiliario, si muove nei reparti senza essere notato. Carrello, secchio e spazzolone, è praticamente invisibile e, nel reparto di maternità, ha potuto seguire indisturbato la vicenda della ragazzina. Oggi, il suo turno finisce alle 22. Appena saputo del decesso del neonato, ha avvertito l'ingegnere e si sono dati appuntamento a mezzanotte, all'ingresso dell'autostrada. Adesso deve solo trovare il coraggio di entrare in azione. Ha con sé una borsa termica, un coltello, un paio di cesoie e un cacciavite, che ha nascosto tra i prodotti delle pulizie. La chiave per aprire la porta della camera mortuaria, se l'è procurata il giorno prima. Entra, in silenzio e inizia ad aprire la bara, facendosi bastare quel po' di luce che arriva dall'esterno. Al momento di compiere la mutilazione, la mano trema, sbaglia l'incisione, fatica più del previsto. Poi, richiude la bara, rimette tutto a posto e si allontana, veloce, nel corridoio che porta verso il parcheggio. E' in orario. Tra pochi minuti sarà all'appuntamento e i cento milioni saranno suoi.
- Gattinara, 14 marzo 1999
Il medico legale ha appena terminato l'esame autoptico sull'arto trovato, il giorno prima, nei boschi appena fuori la città. Il referto arriva sul tavolo del magistrato, dopo solo un'ora. La gamba, lunga 21 centimetri, appartiene a un neonato di razza bianca, venuto alla luce 72 ore prima del decesso. Al momento del rinvenimento, non era ancora presente il rigor mortis e non ci sono segni di graffi e morsi, lasciati da animali selvatici. Non è riuscito a stabilire, con certezza, il tipo di coltello usato: non si è trattato di un taglio netto e la lacerazione, potrebbe essere ricondotta a uno strappo. Le indagini, intanto, non fanno passi avanti. L'ipotesi che prende corpo, è che la madre, colta da un raptus per quella gravidanza indesiderata, forse stremata dai pianti del bambino, lo abbia ucciso e poi fatto a pezzi. Ma dove è finito il resto del cadavere? E poi, avrà fatto tutto da sola, o è stata aiutata da qualcuno, che si è reso suo complice? Nessuno si è fatto avanti, per fornire anche il più piccolo particolare utile alle indagini, anche in forma anonima. Così viene istituito un numero verde (800-313831) nella speranza, vana, che qualcuno si faccia vivo. Nessuno, però, fornirà indicazioni utili per risolvere il caso. Gli investigatori non lasciano nulla di intentato, battendo anche la pista del traffico d'organi e delle sette sataniche, senza successo. - Torino, 12 marzo 1999 Marco è fermo in uno spiazzo vicino all'autostrada. E' arrivato da pochi minuti, il tempo di fumarsi una sigaretta, quando vede arrivare un'auto scura, di grossa cilindrata. Lo chaffeur scende, veloce, e va ad aprire la portiera posteriore. Ne esce un uomo alto, robusto, con occhi e capelli neri, vestito in modo elegante: è l'ingegnere. Marco si avvicina, intimorito, e tende la borsa termica, che l'autista afferra e mette nel bagagliaio. "I soldi...". "Un attimo di pazienza, caro amico. Voglio ringraziarti, per il tuo aiuto. Conto sulla tua discrezione. Non hai raccontato nulla, vero? Nemmeno alla tua compagna?". Marco fa cenno di sì con la testa. Non si è accorto che l'altro uomo, è alle sue spalle. Il lampo di una lama e, dalla gola squarciata, esce la sua vita. Lo troveranno qualche ora più tardi e il delitto verrà archiviato come un regolamento di conti, tra spacciatori. A terra, infatti, sono rimaste due bustine di cocaina. Intanto, l'ingegnere ha raggiunto Gattinara e quella piccola radura, in periferia, dove andava a giocare da bambino. Uscito dall'auto ha indossato, sul corpo nudo, mantello e cappuccio, mentre il suo autista ha allestito un piccolo altare di fortuna. Sopra, una croce rovesciata, uno zoccolo caprino e una candela nera. E' una notte limpida e la luna illumina la zona. Poi inizia la sua invocazione al dio delle tenebre, all'angelo caduto, a cui ha portato in regalo quel piccolo arto. Terminate le preghiere blasfeme, che fa ogni volta che deve firmare un importante contratto, riparte. La gamba del neonato, gettata in un cespuglio, dove pensa che gli animali selvatici la faranno sparire.
Note: il racconto è frutto di fantasia. Non esistono nessun ingegnere e nessun Marco, ausiliario in un ospedale di Torino. L'unico fatto reale è il ritrovamento, avvenuto il 13 marzo del 1999, a Gattinara, da parte di un cane, della gamba del neonato. Il caso non è mai stato risolto.