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| 11 ottobre 2020, 08:06

Valsesia tragica e misteriosa: Le urla strazianti dei morti della miniera della Gula

A cura di Roberto Gremmo

Valsesia tragica e misteriosa: Le urla strazianti dei morti della miniera della Gula

    Raccontano spaventati i pochi abitanti della frazione Gula della val Mastallone che in certe notti si sentono uscire grida strazianti e spaventose dalle gallerie diroccate della vecchia miniera abbandonata. E credono siano le voci dei disgraziati che vi hanno trovato la morte, quando vennero barbaramente uccisi da mani assassine.

   Come tutte le leggende, anche quella dei morti che urlano dentro la miniera della Gula ha un fondo di tragica verità perché nei giorni feroci e drammatici dell’ultima guerra non pochi disgraziati vennero uccisi e buttati nel fondo dei cunicoli della miniera. Come doveva accadere a fine conflitto nelle foibe della Venezia Giulia.

    Dei delitti in tempo di guerra fra Cravagliana e Rimella si ha prova certa, perché dopo la Liberazione la magistratura aprì un’inchiesta giudiziaria, conclusasi senza riuscire a scoprire chi fossero gli autori degli omicidi.  

  Il rinvenimento di numerosi cadaveri sotterrati in gran fretta in quei luoghi impervi ed appartati era avvenuto il 2 maggio 1944 nel corso d’un rastrellamento effettuato dal “63° Battaglione M” della “Guardia Nazionale Repubblicana” che cercava con l’aiuto di un reparto tedesco i rifugi dei partigiani.

   Mentre i tedeschi trovavano alcuni corpi in via di decomposizione nelle vicinanze del caseggiato della Miniera e li trasportavano a Novara, il reparto fascista rinveniva quattro salme, anch’esse seppellite da diverso tempo.

  La prima, trovata vicino alla “Madonna del rumore” nel Comune di Rimella esibiva un distintivo da mutilato di guerra ed un altra dissepolta nella stessa località portava come possibile segno identificativo un anello d’argento al dito.

   Nella galleria della miniera della Gula era stato gettato un individuo di sesso maschile con vistosi “segni di bruciato sulla nuca e in qualche altra parte del corpo”.

   Sotto la balconata dell’ufficio Miniere era stato interrato un uomo d’apparente età d’una cinquantina d’anni con “bottone d’oro o dorato al colletto della camicia; camicia color grigio scuro, righettata e cravatta blu scuro a righe” che permettevano d’identificarlo nel corpo senza vita dell’ex maresciallo dei Carabinieri Francesco Magliola che l’8 marzo era stato “prelevato da elementi armati appartenenti a banda di ribelli”.  

   La vittima dirigeva il Dopolavoro del Centro Zegna dopo essere tornato da lunghi anni di servizio in Libia dove si era distinto per molti atti di valore contrastando le bande dei briganti del deserto. Azioni coraggiose, premiate già nel 1922 con la medaglia di bronzo al valor militare e nel 1933 con l’inclusione nell’“Ordine Coloniale della Stella d’Italia”. Congedato con onore, non dava fastidio a nessuno e si occupava solo del circolo ricreativo, ma evidentemente era finito nel mirino di qualche mal intenzionato.

  Trasportato all’ospedale civile di Varallo, il corpo dell’ex carabiniere veniva esaminato dal medico legale che appurava come causa della morte un proiettile nella “sezione parieto-occipitale sinistra del capo”.

   Il Procuratore Generale del “Tribunale Speciale” avviava un’inchiesta sul delitto che però doveva essere archiviata già il 27 dicembre “per essere rimasti ignoti gli autori del reato”.

   Non era finita.

   Nella macabra e sinistra miniera della Gula ancora dopo la Liberazione venivano uccisi e gettati almeno altri sette individui che per ordine dei capi partigiani erano stati prelevati dal campo di concentramento di Varallo per fascisti o presunti tali e passati per le armi senza lo straccio di un processo.

    Su questi delitti doveva in seguito indagare la Magistratura senza poter scoprire i colpevoli delle stragi fra Ferrera e la Madonna del Rumore anche perché, come dichiarava con molto rammarico nel 1948 il Procuratore della Repubblica di Vercelli, “dalle modalità del fatto e dalle circostanze accertate risulta che la morte è seguita nel corso di operazioni belliche della guerra di liberazione o in epoca immediatamente successiva” e dunque “ tali fatti non rivestono caratteristiche di reato”.

    Tuttavia si dice che nelle notti più buie dai cunicoli abbandonati della miniera della Gula salgano le urla strazianti di quelle povere anime d’assassinati che ancora invocano giustizia.

 

   Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo scrivendo a storiaribelle@gmail.

   Per approfondire questi argomenti segnaliamo un libro pubblicato da Storia Ribelle casella postale 292 - 13900 Biella.

 

Roberto Gremmo

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